L’assurdo gioco di Bruxelles con il governo di Varsavia
La posizione della Polonia rispetto agli attacchi della Commissione Europea
è molto di versa da quella dell’Ungheria. La differenza è stata messa in luce proprio
dal Parlamento Europeo nel suo rapporto sullo stato di diritto. In Ungheria,
sono preoccupanti non solo le politiche del governo ma soprattutto la dilagante
corruzione. In Polonia, al contrario il fenomeno della corruzione è
praticamente sconosciuto, mentre il Governo di Diritto e Giustizia non fa
concessioni alla Commissione riguardo il primato della carta costituzionale
polacca sui trattati europei.
Il pomo della discordia, formalmente sancito dalla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, riguarda principalmente il riordino della magistratura
polacca ma si estende anche alla presunta difesa di alcuni diritti ritenuti
fondamentali dai potentati europei come il diritto incondizionato all’aborto e
la promozione dell’ideologia LGBT. La riforma della giustizia dell’attuale
governo, che per altro non potuta mai essere completata, fu necessaria per
limitare l’influenza dei poteri forti sulla magistratura polacca, che dagli
anni ’90 non ha mai subito un vero e proprio processo di decomunizzazione. Per
quanto riguarda invece il diritto all’aborto libero ed incondizionato, la
legalizzazione dei matrimoni omosessuali e l’inserimento di materie scolastiche
che educhino già dalle scuole elementari ad una sessualità aperta, non ci si
poteva aspettare obiettivamente un’altra reazione dall’attuale governo polacco
che è rappresentante di una maggioranza parlamentare conservatrice.
Il non possumus polacco ha anche ragioni molto pragmatiche. In
Polonia il principale combustibile per uso domestico ed industriale è il gas,
che solo in minima parte è estratto su territorio nazionale ed in parte era
importato dalla Russia. L’egemonia energetica russa è uno dei fattori di rischio
più elevato per la stabilità economica e politica del Paesi dell’Europa
dell’Est. Il progetto di costruzione del gasdotto marittimo Nord Stream 2
direttamente nelle ristrette acque internazionali del Baltico avrebbe permesso
alla Russia e alla Germania di bypassare l’Ucraina e la Polonia, compromettendone
definitivamente la sicurezza energetica. Nel 2009, di fronte al rischio di
esclusione dall’approvvigionamento terrestre, l’allora presidente Lech Kaczyński,
fondatore del partito Diritto e Giustizia, volle fortemente la costruzione del
gasporto di Świnoujście -che oggi porta il suo nome- per permettere la
diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas anche via mare dalle
lontane Americhe. Lech Kaczynski morì tragicamente nel 2010 su territorio russo
in una catastrofe aerea le cui cause non sono state ancor oggi accertate. Il
suo partito andato al potere nuovamente nel 2015, sotto la guida del fratello
gemello Jaroslaw, rafforzò i legami con gli USA di Donald Trump, che garantiva
alla Polonia non solo la fornitura del gas via mare ma anche il contrappeso al
trust energetico russo-tedesco. L’avvento di Joe Biden e l’affievolimento
dell’interesse americano per la frontiera orientale del Patto Atlantico ha dato
il via libera alla costruzione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2.
In Polonia sono ancora oggi tangibili gli effetti del patto segreto Ribbentrop-Molotov,
che nel 1939 sancì la spartizione del territorio polacco fra nazisti e sovietici.
Ogni rafforzamento dell’asse russo-tedesco è interpretato come una minaccia
alla sicurezza nazionale. La Commissione Europea in questa materia
evidentemente gioca alle tre scimmie, ignorando quanto sta succedendo nel
Baltico. Le prove di ingerenza della Commissione Europea nell’organizzazione
interna della magistratura polacca o sul riconoscimento dei diritti delle
persone LGBT fanno parte quindi di una strategia della tensione architettata da
burocrati europei nei confronti della Polonia, per indebolirne la posizione
negoziale rispetto alla lobby tedesca di Bruxelles. Questi temi purtroppo non
assurgono all’ordine del giorno del Parlamento Europeo.
Nata dalle macerie della Repubblica Popolare assoggettata a Mosca, la III
Repubblica Polacca sin dal 1991 fu captata dall’asse franco-tedesco con la
formula del Triangolo di Weimar, che doveva assicurare la cooperazione fra
Francia, Germania e Polonia. Questa parvenza di cooperazione è durata fino al
2016. Il Triangolo di Weimar, più che garantire la coesione territoriale, negli
anni della trasformazione economica post-comunista permise al capitale tedesco
di acquisire le più redditizie aziende statali polacche, nel settore estrattivo
come in quello metalmeccanico, nel trasporto come nell’agricoltura, e così di
controllare l’economia della nascente Repubblica Polacca. Il partito di
Jaroslaw Kaczynski ha decisamente invertito questo trend realizzando conseguentemente
un processo di rinazionalizzazione delle imprese strategiche dello Stato. Al Triangolo
di Weimar l’attuale governo polacco preferisce il rafforzamento della
collaborazione con i Paesi dell’Europa Centrale, con il Gruppo di Visegràd e
con i paesi dell’Intermarium, alla ricerca di una strategia estera a lungo
termine che possa garantire una migliore resilienza alle pressioni egemoniche
dell’asse russo-tedesco.
L’attuale situazione geopolitica nei paesi dell’ex blocco sovietico fa
della Polonia l’avamposto di democrazia su un confine sempre più turbolento con
la Bielorussia. All’ordine del giorno sono le richieste di asilo politico in
Polonia da parte di dissidenti apolitici, giornalisti, personaggi del mondo
della cultura e dello sport costretti a lasciare quel paese a causa delle
repressioni autoritarie. La Radio Nazionale Polacca emette quotidianamente
servizi di informazione aggiornati in lingua bielorussa per evitare la
disinformazione sulla quale si basa il regime di Lukaszenko. Le istituzioni di
Bruxelles sembrano non vedere questo enorme servizio per la pace e la
democrazia, che oggi la Polonia fornisce ai Paesi dell’ex blocco sovietico.
Di fronte a queste sfide all’inizio del nuovo millennio, l’Unione Europea -che
nacque come comunità di nazioni indipendenti- è rimasta vittima delle sue quasi
arbitrarie istituzioni, che non le consentono in maniera neutrale di leggere i
segni dei tempi, perdendo l’occasione storica per adottare una nuova carta fondamentale,
che sarebbe dovuta ripartire da Roma nel 2017 a 60 anni dalla stipula dei primi
trattati. La necessità di intraprendere iniziative comuni nel dopo Covid, ha
fatto rimbalzare il problema della mancanza di reciproca comprensione fra
istituzioni europee e stati membri. La costruzione finanziaria che sta alla
base degli stanziamenti per la ripresa si basa anche su una concezione di
solidarietà economica fra i membri dell’Unione, che non può essere turbata dalla
lobby della Commissione Europea finalizzata al rafforzamento dell’economia
tedesca a discapito degli altri Paesi.
Se le Comunità Europee garantirono la pace nella seconda metà del XX
secolo, l’Unione Europea con un’organizzazione istituzionale caotica potrebbe costituire
un’elemento di vulnerabilità del sistema della sicurezza politica, economica e
sociale degli stati membri. Sintomatiche sono le enormi falle nella sicurezza digitale,
che consecutivamente minacciano i governi e le amministrazioni locali dei Paesi
dell’Unione Europea. In Polonia all’inizio dell’estate fu scoperto un attacco
telematico ai sistemi di posta elettronica usati dai politici del governo,
qualche settimana dopo gli stessi attacchi si sono ripetuti in Italia
all’amministrazione regionale del Lazio. Gli autori del cyberattacco nell’uno
come nell’altro caso sembrano essere di matrice russa. Di fronte a queste
sfide, a questo nuovo modo di condurre vere e proprie campagne belliche mirate
ad indebolire le strutture dei singoli Stati, l’Unione Europea si trova sempre completamente
impreparata, allo stesso modo come impreparata si dimostrò essere di fronte all’epidemia
SARS COVID-19. L’inadeguatezza delle istituzioni europee è un chiaro segnale
dell’urgente necessità di riformulare un minimo comune denominatore europeo,
che sia accettabile per tutti i Paesi Membri. In caso contrario in questa Unione
ci si ritroveranno ben presto solo la Germania e i suoi paesi satelliti.
La posta in gioco è la pace e lo sviluppo nel nostro continente nei
prossimi anni.
Carlo Paolicelli