L’assurdo gioco di Bruxelles con il governo di Varsavia


Nel febbraio del 2020 la senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, stimmatizzava l’atteggiamento di alcune regioni polacche che si proclamavano “Zone libere dall’ideologia LGBT”, accusando i politici locali di populismo sovranista. I suoi liberi pensieri affidati ad un popolare comunicatore sociale, furono poi verificati come fake news. La stampa internazionale tutt’ora in gran parte si concentra sulle procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea contro la Polonia e l’Ungheria per la violazione del rule of law, senza cogliere l’occasione di analizzare criticamente quanto sta avvenendo sulla frontiera orientale dell’Unione.

La posizione della Polonia rispetto agli attacchi della Commissione Europea è molto di versa da quella dell’Ungheria. La differenza è stata messa in luce proprio dal Parlamento Europeo nel suo rapporto sullo stato di diritto. In Ungheria, sono preoccupanti non solo le politiche del governo ma soprattutto la dilagante corruzione. In Polonia, al contrario il fenomeno della corruzione è praticamente sconosciuto, mentre il Governo di Diritto e Giustizia non fa concessioni alla Commissione riguardo il primato della carta costituzionale polacca sui trattati europei.

Il pomo della discordia, formalmente sancito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, riguarda principalmente il riordino della magistratura polacca ma si estende anche alla presunta difesa di alcuni diritti ritenuti fondamentali dai potentati europei come il diritto incondizionato all’aborto e la promozione dell’ideologia LGBT. La riforma della giustizia dell’attuale governo, che per altro non potuta mai essere completata, fu necessaria per limitare l’influenza dei poteri forti sulla magistratura polacca, che dagli anni ’90 non ha mai subito un vero e proprio processo di decomunizzazione. Per quanto riguarda invece il diritto all’aborto libero ed incondizionato, la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e l’inserimento di materie scolastiche che educhino già dalle scuole elementari ad una sessualità aperta, non ci si poteva aspettare obiettivamente un’altra reazione dall’attuale governo polacco che è rappresentante di una maggioranza parlamentare conservatrice.

Il non possumus polacco ha anche ragioni molto pragmatiche. In Polonia il principale combustibile per uso domestico ed industriale è il gas, che solo in minima parte è estratto su territorio nazionale ed in parte era importato dalla Russia. L’egemonia energetica russa è uno dei fattori di rischio più elevato per la stabilità economica e politica del Paesi dell’Europa dell’Est. Il progetto di costruzione del gasdotto marittimo Nord Stream 2 direttamente nelle ristrette acque internazionali del Baltico avrebbe permesso alla Russia e alla Germania di bypassare l’Ucraina e la Polonia, compromettendone definitivamente la sicurezza energetica. Nel 2009, di fronte al rischio di esclusione dall’approvvigionamento terrestre, l’allora presidente Lech Kaczyński, fondatore del partito Diritto e Giustizia, volle fortemente la costruzione del gasporto di Świnoujście -che oggi porta il suo nome- per permettere la diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas anche via mare dalle lontane Americhe. Lech Kaczynski morì tragicamente nel 2010 su territorio russo in una catastrofe aerea le cui cause non sono state ancor oggi accertate. Il suo partito andato al potere nuovamente nel 2015, sotto la guida del fratello gemello Jaroslaw, rafforzò i legami con gli USA di Donald Trump, che garantiva alla Polonia non solo la fornitura del gas via mare ma anche il contrappeso al trust energetico russo-tedesco. L’avvento di Joe Biden e l’affievolimento dell’interesse americano per la frontiera orientale del Patto Atlantico ha dato il via libera alla costruzione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2.

In Polonia sono ancora oggi tangibili gli effetti del patto segreto Ribbentrop-Molotov, che nel 1939 sancì la spartizione del territorio polacco fra nazisti e sovietici. Ogni rafforzamento dell’asse russo-tedesco è interpretato come una minaccia alla sicurezza nazionale. La Commissione Europea in questa materia evidentemente gioca alle tre scimmie, ignorando quanto sta succedendo nel Baltico. Le prove di ingerenza della Commissione Europea nell’organizzazione interna della magistratura polacca o sul riconoscimento dei diritti delle persone LGBT fanno parte quindi di una strategia della tensione architettata da burocrati europei nei confronti della Polonia, per indebolirne la posizione negoziale rispetto alla lobby tedesca di Bruxelles. Questi temi purtroppo non assurgono all’ordine del giorno del Parlamento Europeo.

Nata dalle macerie della Repubblica Popolare assoggettata a Mosca, la III Repubblica Polacca sin dal 1991 fu captata dall’asse franco-tedesco con la formula del Triangolo di Weimar, che doveva assicurare la cooperazione fra Francia, Germania e Polonia. Questa parvenza di cooperazione è durata fino al 2016. Il Triangolo di Weimar, più che garantire la coesione territoriale, negli anni della trasformazione economica post-comunista permise al capitale tedesco di acquisire le più redditizie aziende statali polacche, nel settore estrattivo come in quello metalmeccanico, nel trasporto come nell’agricoltura, e così di controllare l’economia della nascente Repubblica Polacca. Il partito di Jaroslaw Kaczynski ha decisamente invertito questo trend realizzando conseguentemente un processo di rinazionalizzazione delle imprese strategiche dello Stato. Al Triangolo di Weimar l’attuale governo polacco preferisce il rafforzamento della collaborazione con i Paesi dell’Europa Centrale, con il Gruppo di Visegràd e con i paesi dell’Intermarium, alla ricerca di una strategia estera a lungo termine che possa garantire una migliore resilienza alle pressioni egemoniche dell’asse russo-tedesco.

L’attuale situazione geopolitica nei paesi dell’ex blocco sovietico fa della Polonia l’avamposto di democrazia su un confine sempre più turbolento con la Bielorussia. All’ordine del giorno sono le richieste di asilo politico in Polonia da parte di dissidenti apolitici, giornalisti, personaggi del mondo della cultura e dello sport costretti a lasciare quel paese a causa delle repressioni autoritarie. La Radio Nazionale Polacca emette quotidianamente servizi di informazione aggiornati in lingua bielorussa per evitare la disinformazione sulla quale si basa il regime di Lukaszenko. Le istituzioni di Bruxelles sembrano non vedere questo enorme servizio per la pace e la democrazia, che oggi la Polonia fornisce ai Paesi dell’ex blocco sovietico.

Di fronte a queste sfide all’inizio del nuovo millennio, l’Unione Europea -che nacque come comunità di nazioni indipendenti- è rimasta vittima delle sue quasi arbitrarie istituzioni, che non le consentono in maniera neutrale di leggere i segni dei tempi, perdendo l’occasione storica per adottare una nuova carta fondamentale, che sarebbe dovuta ripartire da Roma nel 2017 a 60 anni dalla stipula dei primi trattati. La necessità di intraprendere iniziative comuni nel dopo Covid, ha fatto rimbalzare il problema della mancanza di reciproca comprensione fra istituzioni europee e stati membri. La costruzione finanziaria che sta alla base degli stanziamenti per la ripresa si basa anche su una concezione di solidarietà economica fra i membri dell’Unione, che non può essere turbata dalla lobby della Commissione Europea finalizzata al rafforzamento dell’economia tedesca a discapito degli altri Paesi.

Se le Comunità Europee garantirono la pace nella seconda metà del XX secolo, l’Unione Europea con un’organizzazione istituzionale caotica potrebbe costituire un’elemento di vulnerabilità del sistema della sicurezza politica, economica e sociale degli stati membri. Sintomatiche sono le enormi falle nella sicurezza digitale, che consecutivamente minacciano i governi e le amministrazioni locali dei Paesi dell’Unione Europea. In Polonia all’inizio dell’estate fu scoperto un attacco telematico ai sistemi di posta elettronica usati dai politici del governo, qualche settimana dopo gli stessi attacchi si sono ripetuti in Italia all’amministrazione regionale del Lazio. Gli autori del cyberattacco nell’uno come nell’altro caso sembrano essere di matrice russa. Di fronte a queste sfide, a questo nuovo modo di condurre vere e proprie campagne belliche mirate ad indebolire le strutture dei singoli Stati, l’Unione Europea si trova sempre completamente impreparata, allo stesso modo come impreparata si dimostrò essere di fronte all’epidemia SARS COVID-19. L’inadeguatezza delle istituzioni europee è un chiaro segnale dell’urgente necessità di riformulare un minimo comune denominatore europeo, che sia accettabile per tutti i Paesi Membri. In caso contrario in questa Unione ci si ritroveranno ben presto solo la Germania e i suoi paesi satelliti.

La posta in gioco è la pace e lo sviluppo nel nostro continente nei prossimi anni.

Carlo Paolicelli

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